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Studiare i boschi attraverso la fotografia

Fotografare il tetto della foresta può facilitarne la tutela

Andrea De Giovanni
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by Andrea De Giovanni

Gli ecologi di Eurac Research si servono di una particolare tecnica fotografica per studiare la morfologia della volta forestale e accumulare informazioni sui boschi dell’Alto Adige. Obiettivo: monitorarne lo stato di salute e prevederne il futuro.

Manca poco al tramonto. Il sole scompare dietro il profilo delle montagne intorno a Curon Venosta e Marco Mina rivolge lo sguardo verso l’alto per osservare le cime degli abeti che lo sovrastano. Il bagliore dorato che le ammantava fino a un attimo fa si è spento. “Ci siamo”, afferma, per poi tornare a guardare la macchina fotografica davanti a lui. La fotocamera poggia su un treppiedi, con l’obbiettivo puntato in direzione della volta del bosco. Mina ne scruta rapidamente il display, annuisce e porta il dito sul pulsante di scatto, pigiandolo. Il sipario si alza. Il sensore fotografico viene esposto al mondo e la luce ha poche frazioni di secondo per dipingervi la scena che ci circonda. Dopo torna l’oscurità. Lo schermo della fotocamera diventa buio per qualche attimo, infine si illumina nuovamente, restituendo il ritratto del tetto della foresta. È un’immagine apparentemente semplice ma racchiude una miriade di informazioni. Le sagome scure dei rami si stagliano contro il cielo luminoso, a comporre una sorta di impronta digitale del bosco. È la tecnica della canopy photography e Marco Mina, ecologo forestale a Eurac Research, se ne sta servendo per monitorare i boschi dell’Alto Adige e prevederne il futuro.

L’ecologo forestale Marco Mina scruta la volta del bosco in attesa che i raggi solari non colpiscano più le chiome degli alberi, condizione fondamentale per poter realizzare le sue foto.© Eurac Research | Andrea De Giovanni

Attraverso la canopy photography, in italiano “fotografia della volta forestale”, si ottengono immagini del tetto di una foresta. In queste foto, rami, foglie e tronchi si alternano a frammenti di cielo in un complesso intrico di pixel, formando un disegno che varia con il tipo di bosco. Se in un bosco composto da soli faggi la luce del sole filtra attraverso numerosi spiragli, i boschi di conifere tendono a schiarirsi in corrispondenza di singole grandi aperture, simili a dei lucernari nel tetto della foresta. Per realizzare le sue foto, Marco Mina utilizza degli obiettivi fotografici particolari, detti fish-eye. Proprio come l’occhio di un pesce, queste lenti sono caratterizzate da una visuale – in gergo tecnico, angolo di campo – molto ampia, che raggiunge i 180 gradi in tutte le direzioni. Puntandoli verso il cielo, quindi, gli obiettivi fish-eye consentono di avere una visuale sull’intero emisfero celeste e di ottenere fotografie che, proprio per questo motivo, vengono dette “emisferiche”. Questa tecnica fotografica fu introdotta negli anni Venti del Novecento dal biochimico britannico Robert Hill, il quale la utilizzava per studiare le nuvole. Col tempo, poi, la fotografia emisferica ha trovato applicazione in campi diversi, inclusa l’osservazione delle stelle cadenti e, dagli anni Sessanta, l’ecologia forestale. Oggi, infatti, gli studiosi come Mina se ne servono per ottenere immagini che includano tutte le parti di un bosco, dalla base dei tronchi alla sommità delle chiome. Una volta ottenute le foto della volta, si torna in ufficio e le si analizza al computer. Per prima cosa, un programma esamina le immagini e colora di bianco il cielo e di nero le chiome, eliminando tutte le tonalità intermedie. Perché questo passaggio vada a buon fine, è necessario che le foto siano state scattate quando il sole era nascosto dalle montagne o dalle nuvole. Il riverbero causato dai raggi solari, infatti, rischierebbe di confondere il programma, portandolo a scambiare il cielo con le foglie e viceversa.

La foto della volta di una faggeta prima e dopo essere stata processata per eliminare tutte le tonalità intermedie tra il bianco e il nero.© Eurac Research | © Eurac Research / Marco Mina

Processate le immagini, si possono ricavare diverse informazioni. Tra queste, l’apertura della volta, ovvero di quanto spazio dispone la luce per filtrare attraverso le chiome e raggiungere il suolo, e l’indice di area fogliare, che, semplificando, dice quanta dell’area di un bosco è riparata dalla superficie delle foglie. L’indice di area fogliare, inoltre, è un indicatore importante della capacità di assorbimento di anidride carbonica delle piante.

La morfologia della volta di un bosco ci racconta molto di ciò che si trova sotto di essa.

Marco Mina, ecologo forestale a Eurac Research

Ma cosa spinge alcuni ecologi a studiare il bosco con il naso all’insù? “La morfologia della volta di un bosco ci racconta molto di ciò che si trova sotto di essa”, spiega Mina. Dalla luce che riesce a penetrare tra gli alberi, infatti, dipendono processi cruciali per la vita stessa della foresta; primo fra tutti: la fotosintesi. Non è un caso se i boschi di faggio, specie molto competitiva e dominante sulle altre, sono spesso privi di sottobosco: essendo la loro volta così chiusa, l’ombra che regna sotto di essa limita la fotosintesi e impedisce la crescita di altre piante. Al contrario, quando la volta è molto aperta, come nel caso dei boschi di larice, la luce solare può filtrare al di sotto delle chiome e rendere il sottobosco rigoglioso. In altri casi, invece, se non schermata dagli alberi, la radiazione solare favorisce l’inaridimento del suolo facendo aumentare i tassi di evaporazione. La quantità di luce che riesce ad attraversare il tetto della foresta influenza ogni componente dell’ecosistema, dai batteri ai funghi, dalle piante agli animali che se ne nutrono. Per questo motivo, nei piani di rimboschimento o di diradamento dei boschi, è importante tenere conto della morfologia della volta forestale. Il rischio che si correrebbe, altrimenti, è di alterare negativamente il delicato equilibrio tra i diversi elementi di questo ambiente. Per esempio, gli interventi di diradamento dei boschi dovrebbero favorire l’instaurarsi di un ambiente vario dal punto di vista delle condizioni di illuminazione, con zone del sottobosco più illuminate e altre più buie. In questo modo, infatti, una più ampia varietà di organismi potrebbe prosperare nel sottobosco, dagli organismi che prediligono l’ombra e l’umidità, come alcune felci ma anche funghi e licheni, a quelli che preferiscono l’esposizione alla luce solare, come numerosi arbusti. “Da questo punto di vista, la diversità è la chiave per un ecosistema forestale funzionante e in salute”, chiosa Mina.

La quantità di luce che riesce ad attraversare il tetto della foresta influenza ogni componente dell’ecosistema, dai batteri ai funghi, dalle piante agli animali che se ne nutrono.

C’è anche chi utilizza la canopy photography per stimare la greenness – in italiano, verdezza – della volta, ovvero quante foglie sono verdi e quante sono secche o stanno seccando. In questo modo è possibile farsi un’idea dello stato di salute degli alberi e monitorare l’impatto del clima sui ritmi stagionali della foresta. Come spiega Marco Mina, il grosso vantaggio di utilizzare la fotografia digitale negli studi di ecologia forestale risiede nella sua comodità e nell’accessibilità degli strumenti impiegati. Oggi, infatti, la maggior parte delle persone dispone di una fotocamera digitale e ci sono persino ricercatori e ricercatrici che realizzano le foto ricorrendo allo smartphone. Per Marco Mina la canopy photography ha una duplice finalità: conoscere lo stato attuale dei boschi altoatesini e provare a prevederne il futuro. I dati che Mina e il suo gruppo raccolgono, infatti, confluiscono in due progetti di studio distinti, il progetto “Monitoraggio della Biodiversità Alto Adige” e il progetto REINFORCE. Il primo punta a valutare lo stato di salute degli ambienti naturali della provincia. Al suo interno, i dati derivanti dalla canopy photography servono a indagare la relazione tra la struttura della volta forestale e il grado di biodiversità dei 50 siti forestali presi in considerazione. Per il progetto REINFORCE, invece, Mina ricorre a modelli matematici per fare previsioni sul futuro sviluppo dei boschi, a partire dai dati sulle loro condizioni attuali. “Sappiamo già che le foreste subiranno drastici cambiamenti causati dalla crisi climatica”, afferma Mina. “Il tasso di mortalità degli alberi aumenterà a causa degli eventi siccitosi, e alcune specie faranno sempre più fatica a trovare ambienti idonei alla loro sopravvivenza, come nel caso dell’abete rosso in Alto Adige. La siccità indebolisce l’abete rosso, che poi viene attaccato da insetti come il bostrico tipografo”. Grazie alle previsioni formulate attraverso i modelli matematici, però, si potranno progettare piani di gestione che rendano i boschi più resilienti. “Per esempio, piantumando specie arboree che hanno più chance di sopravvivere e prosperare nonostante i cambiamenti del clima, così come favorendo la crescita di boschi formati da alberi di età diverse. In questo modo, se gli alberi adulti dovessero perire per qualche motivo, quelli più giovani potrebbero sostituirli”, conclude Mina. A ben vedere, se l’intreccio di rami che si stagliano contro il cielo è una sorta di impronta digitale del bosco, allora osservarne la volta è un po' come leggerne la mano per predirne il destino.

Il valore delle ricerche di Marco Mina riconosciuto dalla Provincia


Per le sue ricerche sugli ecosistemi forestali e i cambiamenti climatici, Marco Mina si è recentemente aggiudicato la Menzione Speciale al Junior Research Award. Lo Junior Research Award è il riconoscimento che la Provincia Bolzano assegna a ricercatrici e ricercatori all'inizio della loro carriera, ma che si sono già distinti nel loro campo scientifico e che potranno ottenere in futuro importanti successi scientifici.

Qui il link alla news sul sito della Provincia: https://news.provincia.bz.it/it/news/lo-junior-research-award-alto-adige-2023-va-a-barbara-gross

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